Dinanzi ai suoi occhi c’era solo distruzione. Le pareti
presero fuoco improvvisamente bruciando il parato che le copriva, passando
lentamente da un viola scuro ad un nero carbone. Il fuoco era di colore azzurro
e tendeva a fare maggiormente scena, pensò, in quanto il bruciarsi delle cose
avveniva così lentamente da sembrare finto, nonostante il calore emesso dalle
fiamme era soverchiante. La terra tremava e spaccava in due quel pavimento di
legno sporco e ormai logoro dagli anni: il colore ingiallito e con non pochi
aloni faceva presagire che lì ci fossero passati migliaia di scarpe, anche se
si trattava di un luogo probabilmente inesistente. Sembrava la fine del mondo:
le mura iniziavano a cedere, crollando su sé stesse, la finestra scoppiò
improvvisamente in milioni di pezzi, con vetri che volavano ovunque a causa
della smisurata potenza del vento, capace di spostare addirittura alcuni dei
pochissimi mobili presenti. Il pavimento iniziava a fare spazio a delle vere e
proprie crepe che continuavano ad allargarsi, mentre il calore delle fiamme
stava iniziando a diventare soffocante. Attorno a lui, solo distruzione.
«Devi andare», disse l’uomo elegante
con la sua voce calma e tranquilla, comparendo al centro della stanza dal nulla
e con un’aria spaventosamente sicura di sé. «Sarà qui a momenti.»
Seguì il suo consiglio e corse verso
la porta, senza guardare indietro, toccò appena la maniglia della porta che
tutto ciò che c’era alle sue spalle scomparve nel nulla. Niente più distruzione,
niente più fuoco, niente più quelle figure misteriose. Dinanzi a lui la stessa
stanza, ancora integra ma sempre malandata. Al centro un divano di pelle nera,
molto spazioso, con di fianco un lume la cui luce era una fiamma molto alta. La
stanza era stranamente illuminata, nonostante non ci fosse la finestra a fare
luce, ma soltanto quello strano lume: a primo acchito sembra una semplice
lampada da lettura, ma che però invece della lampadina sfruttasse il fuoco, lo
stesso fuoco azzurro che attimi prima bruciava quella stanza. Sentì il
desiderio e il bisogno di sedersi su quel divano, anche se non soffriva nessun
tipo di stanchezza. Intorno la stanza era sempre vuota, poco mobilio e appena
qualche dipinto attaccato alle pareti, giusto per non rovinare la fantasia
viola con sfumature magenta di quel parato, che, tuttavia con maggiore
attenzione si poteva scorgere anche ad altre dal colore argento che rendevano
il disegno decisamente più unico. Si sedette e constatò che fosse molto comodo,
decidendo successivamente di sprofondarci con tutta la pesantezza del suo
corpo. Sospirò e guardò il soffitto, perdendosi in quel bianco un po’
ingiallito.
«Io sono… L’angelo», disse la donna
lucente con quella sua voce soave e delicata. «Siamo qui per una ragione
precisa…», continuò prendendosi appena una pausa tra una frase e l’altra.
«Come, un angelo? Qual è questa
ragione precisa?» chiese il giovane osservando come la frangetta le coprisse
leggermente quei suoi splendidi occhi.
«Non posso dirti nulla ora, dovrai
capirlo da solo. Ma sono sicura ci riuscirai, sei forte e ne sei sempre uscito.
Ce la farai anche questa volta», rispose lei, mostrando i suoi occhi tremanti e
lucidi. «Devi solo crederci.»
Scomparve tra le sue braccia e al suo
posto tantissime farfalle blu presero a volare intorno al suo viso, con una che
si posò anche solo per un attimo sulle labbra, per poi scomparire nel nulla.
Era la donna dei suoi pensieri più lontani, la riconosceva dalla luce che
emetteva ogni volta. Ma non era solo quello, era anche più, ma non riusciva a
capire dove e soprattutto quando: la sua mente era ancora vittima di quel luogo
infernale.
«E’ un po’ che non venivi a farci
visita», disse una voce estremamente calda che colse la sua attenzione e lo
riportò alla realtà. Si trovava infatti ancora su quel divano, senza sapere il
motivo per il quale dovesse trovarsi lì e, soprattutto senza concepire il tempo
che passasse. Si girò intorno ma non vide nessuno, tutto ad un tratto,
improvvisamente, un gatto gli balzò sulle ginocchia, facendolo sussultare
animatamente.
«Oh cavolo gattino, mi hai fatto una
paura terribile… Che ci fai qui? Da dove sei uscito?» disse mentre tentò di
accarezzargli il manto di colore beige con leggere sfumature rosse.
«Non è importante da dove sono uscito,
ma bensì che io ti abbia trovato» rispose il gatto, cogliendo la sua attenzione
che si mostrò come una smorfia di quasi terrore sulla sua faccia, quasi per
indicare la conferma che prima non avesse fantasticato, ma bensì che l’avesse
veramente sentito parlare.
«Tu parli? Com’è possibile?», rispose
deglutendo in modo quasi rumoroso.
Il gatto iniziò a strusciarsi su di
lui, soprattutto vicino al viso coperto di barba, poi iniziò a fare le fusa e a
cercarsi forzatamente una carezza dalle sue mani. Lo accarezzò diverse volte,
notando come gli piacesse e nemmeno poco: chiudeva gli occhi e si alzava sulle
gambe posteriori per spingersi contro la sua mano. Sembrava che quel gatto
desiderasse avere delle coccole da lui, quasi come se lo stesse aspettando da
una vita intera. Ad un certo punto, dopo essersi goduto qualche minuto di
dolcezza, il gatto si mise seduto sulle sue gambe al suo fianco, sul divano.
«Qui tutto e possibile. Siamo in un
posto dove è possibile di tutto. Io parlo, vivo, respiro grazie a questo luogo,
dove altrimenti non avrei potuto» spiegò il gatto, accompagnando il discorso
con uno sbadiglio degno della più totale stanchezza.
«Siamo nell’aldilà? Paradiso o
inferno?» si chiese il giovane, facendo riferimento alle parole dell’uomo
elegante che gli ha spiegato di come quel bambino fosse un demone, mentre la
donna lucente un angelo.
«Quello che tu vorrai. Dipende tutto
da te. Devi ricordare e superare questo luogo. Devi uscire da qui» risposte il
gatto, spostando la coda da destra a sinistra con totale leggerezza.
«Ma non so cosa fare, cosa ricordare e
soprattutto come farlo! Ho paura di rimanere qui per sempre, nella totale
indifferenza delle figure che sto incontrando. Mi dite tutti la stessa cosa,
che devo fare tutto da solo, ma non so da dove iniziare! Ti prego gatto,
aiutami, almeno tu!» e la sua voce si alzò di tono e cambiò anche suono,
facendo notare di come un groppo in gola l’avesse accompagnato per tutto il
discorso. Però poi continuò. «Tu, almeno, puoi dirmi come ti chiami?».
Il gatto rimase impassibile dinanzi a
quella che poteva definirsi una tranquilla sfuriata, anzi addirittura sbadigliò
ancora e iniziò a socchiudere gli occhi, mentre con le unghie tentò di
impastare sul divano. Si stava rilassando e a momenti sarebbe caduto su un lato
per dormire, facendo innalzare non poco la rabbia del giovane ragazzo, che
quasi immobile, continuava a fissarlo.
«Leggi la targhetta che ho al collo»,
avanzò il gatto, appena dopo un sospiro.
Si avvicinò al gatto, e con le nocche
toccò il suo morbidissimo pelo beige. Prese la targhetta e lesse una semplice
lettera, una “M”, che di certo non significava nulla in quel momento. La girò
per vedere se ci fosse scritto qualcosa dietro, ma l’unica cosa che poté notare
furono alcuni graffi: si trattava sicuramente di una vecchia targhetta, vecchia
di anni. Iniziò quindi a chiedersi chi fosse quel gatto, del perché si trovasse
lì e soprattutto da quanti anni fosse presente in quel luogo. La guardò ancora
una volta e i suoi occhi si accesero, così decise di osservarla meglio e
concentrarsi sopra. Nella sua mente iniziarono a comparire immagini familiari:
due mani di bambino che accarezzavano quello stesso gatto beige, fermo lì su
una sedia a sbadigliare e che di lì a poco si sarebbe guadagnato un ciondolo.
«Ecco a te, ora sei ufficialmente il
gatto della nostra casa!» disse il bambino con totale entusiasmo che coinvolse
anche quel gatto, quasi sorridente che si strusciò lungo il braccio.
L’immagine nella sua mente terminò e
si ritrovo di nuovo in quel luogo, con quel gatto davanti che lo guardava
esattamente come nelle immagini guardava quel bambino.
«Una M, cosa significa Gatto? Ti
chiami semplicemente M?» chiese, consapevole che la risposta sarebbe stato
tanto vaga da non capirci nulla ancora una volta.
«No, ho un nome completo, ma che non
posso dirti. Dovrai per forza ricordarlo da solo. La M cosa ti ricorda,
giovane?» chiese il felino iniziando a lavarsi le zampe e il viso.
«Mamma, la M mi ricorda soltanto la
parola Mamma, ma non credo significhi qualcosa…» spiegò il giovane ragazzo in
preda ai dubbi e alla concentrazione. «Non sei mia madre, vero?» disse con un
tono dubbioso e spaventato.
Il gatto non avanzò parola, ma si
bloccò per un attimo e iniziò a guardarlo insistentemente, in modo quasi
inquietante. I suoi occhi cambiarono, da quel nocciola che rendeva le pupille
così piene e calde, si passò ad una chiusura quasi totale, una fessura surreale
e che, in quel dato momento, non facesse immaginare nulla di positivo. Si
stiracchiò e con un balzo scese dal divano, avvicinandosi ad una porta che,
fino a quel momento, non c’era mai stata. Salì sul mobile più vicino e iniziò a
lavarsi di nuovo le zampe, non curandosi del giovane ragazzo che lo guardava
insistentemente per capire cosa gli stesse dicendo. Capì che quella porta
avrebbe portato da qualche parte, ma non sapeva dove. Si avvicinò, diede un’occhiata
veloce al gatto e aprì, catapultandosi in un luogo completamente nuovo. La
porta si chiuse con un particolare frastuono e il gatto rimase lì ad osservare
la scena. Attorno al felino iniziò a levarsi della polverina bianca lucente e
con uno sbadiglio così tanto desiderato, accompagnato da un mezzo sorriso
finale, capì che il suo compito era ormai terminato. Si dissolse con l’immagine
di quelle mani da bambino che lo accarezzavano e gli legavano quel ciondolo
intorno al collo. La stanza era ormai vuota, il rumore del silenzio sembrava
dare voce a quelle pareti così insignificanti. Il mobilio era l’unico
protagonista di quella stanza, mentre l’unico movimento era dettato dal vento
che spostava leggermente quelle tende viola sopra la finestra, comparsa dal
nulla. Era cambiata ancora. Improvvisamente.
Un urlo agghiacciante.
L’aria era rarefatta. Una sottile nebbiolina era
presente in quella stanza. Le pareti non erano del tutto sane, ma continuavano
a reggersi in piedi. La finestra che dava all’esterno, in realtà, non mostrava
nulla di particolare, se non il vuoto totale, dato dalla luce incredibilmente
accecante. L’uomo elegante era in piedi dinanzi alla finestra, amava osservare l’esterno.
Aveva le braccia piegate all’indietro con le mani che si stringevano, a gambe
larghe, come se stesse aspettando qualcosa. Una smorfia lungo il labbro
inferiore e un movimento degli occhi. Aveva percepito la sua presenza.
«Lui non ricorda chi sono…» era l’Angelo
lucente, la donna bellissima. «Significa che mi odia ancora, vero?», chiese con
la voce tremante, quasi spezzata.
L’uomo elegante si girò in modo
delicato. Aveva dalla sua un fascino particolare, perché sicuro di sé. La
guardò negli occhi e anche i suoi iniziarono a tremare. «Non ti ha mai odiato,
Angelo» disse con naturalezza e pacatezza. «Non potrebbe mai odiarti.»
«Ha trovato il ciondolo, la lettera. È
vicino…» disse in preda a qualche timore, un groppo in gola che continuava a
darle fastidio.
L’Angelo non si controllò del tutto, e
senza fare smorfie o altri movimenti, fece scivolare una lacrima sul suo
bellissimo viso, rigandolo in due parti. Il groppo in gola iniziò a farsi
sentire nuovamente, ma riuscì a deglutire appena in tempo per bloccarlo. Rimase
ferma lì, esattamente dov’era: non aveva la forza di muoversi perché era ancora
del tutto scossa e fuori controllo. L’uomo elegante si avvicinò a lei con
dolcezza e le asciugò la lacrima con il pollice, mentre il restante della mano
l’accarezzava dietro l’orecchio. La guardò intensamente negli occhi, senza
staccare lo sguardo. I loro occhi iniziarono a tremare, le pupille si allargarono
così tanto da capire entrambi che ammirarsi era la cosa più bella che potesse
esserci in quel momento e forse per sempre. L’accarezzò ancora in viso e le
diede un bacio sulla fronte, cosa che avrà fatto tante volte nella sua vita,
visto il riflesso condizionato di lei di lasciarsi baciare e abbandonarsi al
suo petto. Si strinserò così forte che i vestiti per poco si riducevano a
brandelli. Lui si avvicinò al suo orecchio per sussurrargli delle parole, lei
chiuse gli occhi per godersele a pieno.
«Sei l’unica che ha riconosciuto…» la
sua voce diventò dolcissima e bassa improvvisamente, ma sempre molto calda e
rassicurante.
In preda ai brividi lungo la schiena,
lei si strinse a lui ancor di più, abbandonandosi completamente al suo calore e
al suo affetto. Rimasero così a lungo, dondolando leggermente in segno di
dolcezza. Poi si guardarono ancora e si baciarono, come solo loro sapevano
fare. Come solo loro avrebbero potuto fare.
Per il continuo, fatemi sapere se lo volete con un commento qui sul blog, oppure direttamente su ASK.fm al link CLICCA QUI. Lì potete anche farmi domande più specifiche, in caso le aveste. Sono lieto di poter rispondere. Inoltre fatemi sapere cosa ne pensate di questa "seconda parte". ^^
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