Le luci si
affievolirono e il pubblico diventò quasi invisibile, a malapena si udiva
qualche chiacchiericcio. Cosmo entrò in scena, nella sua tenuta mascherata, con
un passo flebile, armonioso e danzante. Indossava abiti dai colori mischiati,
un gilet metà verdi a quadretti blu e l’altra metà blu a quadretti verdi. Un
pantalone molto largo color viola perlato con tasche pieno di oggetti di scena
dentro. Le scarpe erano classiche, ma rese colorate e malridotte per fare
scena, nascondevano degli elastici per rumoreggiare ad ogni passo e far in modo
che la gente ridesse del suo modo di muoversi. Aveva un viso tondo e strano,
che mascherava con del trucco bianco che sembrava la neve candida, la bocca di
un blu mare che segnava il grande sorriso con un contorno nero per definire il
tutto in meglio. Aveva messo un rossetto dello stesso colore del trucco, così
che qualsiasi forma avesse preso il suo viso, dimostrava sempre quel gran
sorriso artificiale e anche decisamente finto. Il naso rosso a palla che se
premuto faceva un allegro fischietto, un trucco nero attorno agli occhi da
cucciolo che aveva, lo facevano rassomigliare ad un panda e mettevano i risalto
i suoi occhi verde bottiglia che con la luce sembravano splendenti, ma che in
realtà nascondevano una lieve malinconia. Lo spettacolo era nato per costruire
sorrisi e risate sulle facce delle persone e si servivano di Cosmo perché lui
riusciva a rappresentare ciò che in realtà avrebbe voluto anche lui stesso.
Sorridere.
Lo spettacolo
finì, le luci abbandonarono il teatro e un applauso degno del più grande
costruì un suono che allietarono l’animo di Cosmo. Quasi si sentiva il vento
che le mani creavano nel loro muoversi prima di emettere il suono più
importante in quel momento. Era lì, inchinato degnamente, ad ascoltare quel
suono che per qualche attimo avevano dato aria alla sua malinconia, ma durò
poco più di qualche minuto. Tornò nel camerino, uno stanzino piccolino con un
grande specchio pieno di lampadine a farne da contorno. Era parecchio in
disordine, c’erano tanti vestiti di scena sparsi lì buttati per riprenderli
subito e indossarli prima di ricominciare a vivere un nuovo attimo. Il signor
Spaventapasseri, il signor Tenebra, l’umile musicista, l’affascinante principe
e tantissimi altri che si aveva difficoltà a contarli. Una lampadina intermittente,
lo specchio con qualche crepa all’interno. Tutto sembrava già sfruttato da
molto tempo, c’era qualche granello di polvere qui e là e un phon, per
acconciarsi i capelli biondi e mossi ogni qualvolta doveva entrare in scena. Iniziò
a struccarsi, perché doveva cambiare scena e personaggio, e nel mentre notò che
il suo occhio da verde diventava oscuro e pieno di odio. Chiuse gli occhi e
provò ad entrare nel suo essere, nel suo mondo vero.
Si trovò in una
stanza bianca senza fine, decisamente illuminata, tanto che i suoi occhi
dovettero abituarsi prima qualche minuto e poi riprese a vedere. Il giovane non
immaginava che cosa gli altri avessero in mente, ma lui aveva già deciso di
rinunciare e tornare indietro. Intuì che qualcosa stava accadendo, qualcosa di
strano stava capitando. Oltre l’immaginazione. Qualcosa che sa di già visto,
già sentito, qualcosa che c’è sempre stato ma se ne rendeva conto solo in quel
momento. Un uomo non può farsi travolgere da cose astratte, deve scovarle,
capirle e combatterle. I motivi per cui Cosmo cambiò idea e partecipò a quell’impresa
erano meno evidenti di quelli che sembravano. A quello sguardo così deciso, il
signor Spaventapasseri, il principe, e tutti gli altri si precipitarono a
fermarlo nella sua furiosa decisione. Di lì a poco li avrebbe uccisi e
distrutti tutti quanti, ormai futili, privi di senso. Finalmente qualcosa si
mosse dentro di lui, una forza repressa che era quella del suo animo, così
forte che davanti ai suoi occhi tutto si stava autodistruggendo. Le mura
volavano via trascinate da un tornado potente, il pavimento ondulava forte e si
spaccò in tantissimi pezzi. Il suo sorriso inquietante rimase immobile e i suoi
occhi impassibili non sbattevano le palpebre, perché dentro di lui qualcosa era
cambiato. Finalmente.
Un corridoio
completamente buio, gelido e spaventoso. L’accendino verde era l’unica fonte di
luce e mostrava le pareti bagnate e piene di edera, a terra c’è dell’acqua
ormai pesante e densa di fango. Faceva fatica a camminare, le sue scarpe erano
poco adatte, ma erano più deboli della sua forza in quel momento, decisa più
che mai nel suo intento. In fondo, una porta che per aprirla bisognava tornare
un attimo bambini, riscovare la bella spensieratezza, perché lì dentro si
nascondeva qualcosa che lui aveva perso da tempo e che si era rinchiuso in quel
luogo molto remoto per stare lontano dal dolore e dalla paura. Da bambino Cosmo
andava sempre in giro vestito da supereroe, Batman e Spiderman erano i suoi
preferiti e indossava sempre queste maschere per nascondere se stesso e mostrarsi
più forte agli altri. Aveva già paura, tremenda paura di come col tempo la cosa
si sarebbe evoluta nel modo peggiore e lui, angelo tenero e buono, sarebbe
scomparso nei profondi meandri di quella tenebrosa paura. Prima però era
spensierato, un bambino come tanti. Salutava tutte le persone che camminavano
con un dolcissimo buongiorno, anche se non le conosceva. In quei momenti era
sereno e felice e nel ricordarlo, qualcosa si attivò dentro di lui. Era la voce
di un bambino così felice e sorridente, senza il minimo pensiero. Un sorriso si
smosse e la porta si aprì. Nel buio più totale, c’era un solo angolo illuminato.
Lì una capigliatura bionda era seduta con la testa tra le gambe, chiuso a
riccio, tremolante e spaventato. Pieno di graffi, ferite, era pallido, occhiaie
enormi, era orribile, spaventoso, incredibilmente inquietante. Cosmo sente una
fitta forte nel petto, un dolore che lo stramazza a terra in preda ai lamenti
più feroci. Il ragazzo pallido si stringe ancor più le gambe, con singhiozzi
forti e profondi. Tempo prima era un angelo bellissimo buono e senza odio, ora
invece eccolo lì, rinchiuso nella sua stessa paura. Cosmo stramazzato a terra
perse i sensi, iniziò a sognare un mondo completamente diverso da quello in cui
viveva. Tornò ad aprire gli occhi e lì davanti a lui, c’era un pagliaccio steso
a terra, completamente sporco di fango. Aveva freddo e si raggomitolò quasi
arrendendosi.
Uno sguardo alla
porta più in là, il signor spaventapasseri era sulla soglia e aveva visto tutta
la scena. Cosmo si alzò di fretta, calpestando la mano del povero pagliaccio e
correndo verso la porta con furia, mentre il signor Spaventapasseri chiudeva e
si lasciava alle spalle la stanza, ancora una volta pronunciando qualcosa. L’ennesima.
Un grande tonfo e tutto tornò buio.
<<Sei anche
tu una maschera.>>
Un profondo applauso invase la stanza.
Interludio profondo.
Ogni attimo, ogni
momento..
Un sorriso falso
si prende gioco di me..
Non puoi capirlo
tu che di me ti nutri..
Non percepisci la
profonda malinconia..
Ne puoi vedere la
tristezza?
Ne puoi mostrare
la tirannia?
Mi dite di sorgere
e mostrare la luce..
Ma come sole sono
ormai spento..
Come può un bruco
saper volare..
Se prima il suo
bozzolo non si schiude..
Ma è lì da tempo
immemore..
Mi correggo, è
spaventato..
Potrei muovere la
luna..
Disegnare stelle..
Ma del mio sorriso
e del mio fardello..
Non sono più
gravido..
Tutto ciò che è profondo ama la maschera, e le cose più profonde nutrono addirittura odio per quel che è immagine e somiglianza.
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